venerdì 25 ottobre 2013

La pizza porta consiglio...

Io e Jacopo abbiamo passato molti momenti difficili insieme. Momenti in cui eravamo soli, io e lui. Magari perché ricoverati in qualche ospedale lontano centinaia di chilometri da casa o perché non c'era nessuno che potesse aiutarmi in quel momento anche se ne avrei avuto bisogno...
Ho dovuto prendere tante decisioni per lui senza avere sempre la possibilità di confrontarmi, chiedere consiglio e aiuto.
Non sempre la vita e le circostanze te lo permettono.
Come dico spesso, Jacopo è la mia forza e la mia debolezza. Mi rende debole perché lui è la mia carne viva, esposta senza alcuna protezione agli urti inconsapevoli di passanti frettolosi. Mi rende forte perché sono il suo scudo.
Lo scudo di una persona che non parla ma comunica. Una comunicazione in cui siamo entrambi alla pari: lui impara, io imparo.
Nei momenti di debolezza, lo scudo si attiva perché facciamo squadra. Come quando mangiamo la pizza.
Quando era più piccolo, Jacopo la mangiava sempre con piacere. Poi, come è capitato con altri alimenti, è scomparsa dalla sua dieta.
La prima volta che abbiamo condiviso il mangiare una pizza con gusto e voracità è stato al Besta di Milano dopo qualche giorno di digiuno: lui non gradiva i pasti ospedalieri e io non riuscivo a scendere giù in mensa perché non sapevo a chi lasciarlo. Una sera sono riuscita ad entrare in uno di quei giri clandestini di mamme che, la sera tardi, si ordinavano la pizza per fare due chiacchiere dopo aver messo a dormire i bambini. (Per la cronaca, io andavo a dormire sempre insieme a Jacopo perché se volevo lavarmi dovevo alzarmi all'alba e se si svegliava di notte, dovevo uscire dalla stanza per non disturbare i vicini di letto. E poi alle 8.00 già non mi reggevo in piedi...)
Comunque sia, quella pizza è ancora viva nei miei ricordi.
Anche stasera ce ne siamo mangiata una. O, meglio, ne abbiamo condivisa una. Un segnale? Un déjà vu? Comunque facciamo squadra.

2 commenti:

Cosimo De Nitto ha detto...

Anche io ricordo il Besta e la mia nipotina tetraplegica che ci è stata tanto tempo per l'impianto di un pacer per respirare senza il ventilatore. Per mesi mia figlia è rimasta con lei notte e giorno, e io andavo su e giù da Torino per portare da mangiare a lei e alla piccola le pietanze pugliesi preparate dal nonno. Per dare loro una sensazione di casa, contro l'alienazione ospedaliera. Dopo un mese sono riuscito a convincere mia figlia a farsi portare dal marito ad una pizzeria lì vicino per mangiare una pizza, mentre io restavo in ospedale con la mia nipotina. Hanno mangiato in fretta e sono tornati dopo poco tempo. Mia figlia mi ha abbracciato perché, a suo dire, le avevo restituito un po' di "normalità", come donna che, talvolta, ha anche un sé. Scusami se non ho saputo trattenere il flusso della mia memoria legata al Besta. Proprio perché ho vissuto l'esperienza credo che mia figlia sia stata più "fortunata" di te, che sei stata sola con Jacopo. Se ti avessi conosciuta, come altri al Besta, mi avrebbe fatto piacere fare assaggiare anche a voi ciò che avevo preparato. La notte di San Silvestro del 2004 l'abbiamo trascorso tutti i degenti e le famiglie insieme. Tutta la sera ho preparato piatti pugliesi, nevicava fuori, dentro il salone era caldo, non solo per la temperatura.
Un abbraccio a te e al tuo Jacopo.

Maria Grazia Fiore ha detto...

Non c'è nulla di cui scusarsi :) E' stato molto bello accostare il mio ricordo al tuo. Se ci sommiamo il commento di Marisa su Facebook sulle "pizzate" tra mamme, andrà a finire che la gente penserà che ci facciamo ricoverare al Besta perché lì vicino c'è una buona pizzeria ;) Un abbraccio anche a te e ai tuoi cari

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