mercoledì 22 novembre 2017

Quando sento parlare di "cura"...

“Essere autistici non significa non essere umani, ma essere diversi. Quello che è normale per altre persone non è normale per me e quello che ritengo normale non lo è per gli altri. In un certo senso sono mal “equipaggiato” per sopravvivere in questo mondo, come un extraterrestre che si sia perso senza un manuale per sapere come orientarsi. Ma la mia personalità è rimasta intatta. La mia individualità non è danneggiata. Ritrovo un grande valore e significato nella vita e non ho desiderio di essere guarito da me stesso. Concedetemi la dignità di ritrovare me stesso nei modi che desidero; riconoscete che siamo diversi l’uno dall’altro, che il mio modo di essere non è soltanto una versione guasta del vostro. Interrogatevi sulle vostre convinzioni, definite le vostre posizioni. Lavorate con me per costruire ponti tra noi” (Jim Sinclair, 1998).

Quando sento parlare di "cura" per "tutte le forme di autismo", mi risuonano in mente queste parole. Le sfumature dello spettro sono innumerevoli. Le barriere che ne derivano per l'autonomia, il benessere e la partecipazione sociale sono peculiari per ogni singola persona in questa condizione.

Pensare che "l'alto funzionamento" e/o che l'analfabetismo relazionale/emotivo di partenza siano più accetti socialmente rispetto alla paura ancestrale che incute una persona "severamente autistica" è un'illusione. La società non perdona la mancanza di omologazione comportamentale e non fa sconti a nessuno.

Ma se non siamo noi genitori, per primi, a costruire ponti verso i nostri figli, come potranno mai farlo gli altri? Siamo noi a doverci interrogare sulle NOSTRE convinzioni. Siamo NOI a doverle definire per primi. Quando sento parlare dell'autismo come "l'uomo nero" che ci ha rapito i nostri figli, capisco subito che i cantieri non sono stati neanche inaugurati per realizzare quei ponti che ci permettono di allontanarci dal fantasma di quel figlio che vive solo nella nostra testa e impedisce a quello che vive nella nostra casa di prendere il posto che gli spetta.

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