sabato 25 ottobre 2014

Parliamo la stessa lingua?

Stamattina ho trovato un contributo molto interessante di Olga Bogdashina (linguista russa con un figlio autistico) sulla comunicazione nell'autismo. Poiché il fraintendimento tra linguaggio e comunicazione è una delle maggiori difficoltà da affrontare quando si parla di Bisogni Comunicativi Complessi, ritengo che sia una preziosa fonte di studio e riflessione. Qui di seguito, qualche stralcio significativo (il grassetto è mio)...

Nell’autismo ambedue le forme verbali e non verbali risultano compromesse e, anche se la capacità di linguaggio è buona, come nel caso di individui ad alto funzionamento, la comunicazione e l’uso sociale del linguaggio sono deteriorati. A questo punto, quali sono le nostre priorità? Affrontare i deficit di comunicazione o di linguaggio? Le persone con autismo non sono deficitarie dal punto di vista della “comunicazione” perché esse comunicano e lo fanno sempre...
Le persone non autistiche sono spesso disorientate dalla comunicazione “bizzarra” delle persone autistiche, ma anche viceversa. La comunicazione è un processo a due vie e ci vogliono due persone per comunicare e non è vero che tutti i problemi dipendano dalle persone con autismo. Le persone neurotipiche hanno molto da imparare sull’arte della comunicazione con individui che non conversano nello stesso modo, sia attraverso il linguaggio verbale che quello non verbale. Quelli definiti come “deterioramenti della comunicazione” nell’autismo, in realtà sono modi qualitativamente diversi per interagire, comunicare, processare le informazioni, che non coincidono con quelli convenzionali...
È necessario distinguere due tipi di linguaggio: verbale (che consiste in parole) e non verbale (che consiste in simboli non verbali). Da questa prospettiva, l’assunto che i ragazzi non verbali “manchino di linguaggio interiore” è scorretto perché tutti hanno una forma di linguaggio interiore, anche se non sono in grado di comunicare attraverso sistemi convenzionali, come lo scrivere a macchina o firmare (O’Neill 1999, Williams 1996). Possiamo ipotizzare che i ragazzi con autismo, o per lo meno alcuni di loro, “parlino” (anche quelli non verbali) una lingua diversa. Pare che il linguaggio verbale sia estraneo per loro e, dato che non lo imparano naturalmente all’inizio della loro vita, noi dobbiamo aiutarli a padroneggiarlo come una seconda lingua, con il supporto della loro “prima lingua” se vogliamo condividere con loro il significato della comunicazione. Quindi che lingua parliamo? E possiamo parlare di lingua anche nel caso di persone non verbali? La risposta è sì! Esse possiedono un loro personale sistema linguistico. Prima di insegnare loro “una lingua straniera”, dobbiamo imparare la loro prima lingua per sviluppare le abilità di comprendere i loro messaggi...
Quando uno dei membri dell'officina leggerà questo post ricorderà la mia affermazione circa il fatto che, anche nel caso di individui verbali, bisogna ricordare che l'italiano sarà sempre e originariamente L2 (sigla con cui a scuola si indica lo studio dell'italiano come seconda lingua). Mi fa piacere che la mia conclusione sia qui ulteriormente avvalorata! :)

Tutto questo ragionamento (e relativa ricerca) è nato dal fatto che Jacopo privilegia i video in inglese e li segue con particolare attenzione. Quello che vedete qui sotto è uno dei suoi preferiti.


Lo vedo inoltre particolarmente divertito quando scova qualche cartone animato familiare in una lingua diversa da quella con cui è abituato a seguirlo. Ride come se fosse uno scherzo, uno di quei suoni con cui ci divertiamo quando giochiamo. Oggi lo vedevo attento nel seguire le scritte corrispondenti alle immagini e mi è venuto spontaneo pensare:

ma non è che un giorno scopriamo che l'italiano non è la sua lingua?

Beh, ogni tanto un po' di umorismo ci vuole! ;)

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