Io e Jacopo abbiamo passato molti momenti difficili insieme. Momenti in cui eravamo soli, io e lui. Magari perché ricoverati in qualche ospedale lontano centinaia di chilometri da casa o perché non c'era nessuno che potesse aiutarmi in quel momento anche se ne avrei avuto bisogno...
Ho dovuto prendere tante decisioni per lui senza avere sempre la possibilità di confrontarmi, chiedere consiglio e aiuto.
Non sempre la vita e le circostanze te lo permettono.
Come dico spesso, Jacopo è la mia forza e la mia debolezza. Mi rende debole perché lui è la mia carne viva, esposta senza alcuna protezione agli
urti inconsapevoli di passanti frettolosi. Mi rende forte perché sono il suo scudo.
Lo scudo di una persona che non parla ma comunica. Una comunicazione in cui siamo entrambi alla pari: lui impara, io imparo.
Nei momenti di debolezza, lo scudo si attiva perché facciamo squadra.
Come quando mangiamo la pizza.
Quando era più piccolo, Jacopo la mangiava sempre con piacere. Poi, come è capitato con altri alimenti, è scomparsa dalla sua dieta.
La prima volta che abbiamo condiviso il mangiare una pizza con gusto e voracità è stato
al Besta di Milano dopo qualche giorno di digiuno: lui non gradiva i pasti ospedalieri e io non riuscivo a scendere giù in mensa perché non sapevo a chi lasciarlo. Una sera sono riuscita ad entrare in uno di quei giri clandestini di mamme che, la sera tardi, si ordinavano la pizza per fare due chiacchiere dopo aver messo a dormire i bambini. (Per la cronaca, io andavo a dormire sempre insieme a Jacopo perché se volevo lavarmi dovevo alzarmi all'alba e se si svegliava di notte, dovevo uscire dalla stanza per non disturbare i vicini di letto. E poi alle 8.00 già non mi reggevo in piedi...)
Comunque sia, quella pizza è ancora viva nei miei ricordi.
Anche stasera ce ne siamo mangiata una. O, meglio, ne abbiamo condivisa una. Un segnale? Un déjà vu? Comunque facciamo squadra.